D. D’Ascenzo – Agronomo Fitopatologo | e-mail: dascenzo.abruzzo@gmail.com
Introduzione
Il pomodoro e la patata costituiscono importanti comparti dell’agricoltura italiana, infatti essendo coltivate complessivamente in oltre 125.000 ha anno. In particolare il pomodoro è coltivato per produzione da mensa che da industria. Quet’ultima rappresenta il circa 14% dell’intera produzione mondiale e la superficie coltivata in Italia, tra produzione destinata alla trasformazione industriale e consumo fresco, supera le 90.000 ha. Le maggiori aree di coltivazione sono soprattutto Emilia- Romagna e Puglia. Le produzioni da industria italiane (pelati, cubettati passate ecc.) si sono sempre contraddistinte per gli elevati standard qualitativi sia per caratteristiche organolettiche che per avanzati processi di trasformazione e, negli ultimi anni si è registrato una grande attività dell’industria sementiera volta alla selezione di varietà sempre più idonee all’ottenimento di un prodotto in linea con le esigenze della trasformazione industriale. Il pomodoro da mensa costituisce, invece, costituisce probabilmente, la specie orticola più coltivata in assoluto in Italia essendo presente in quasi tutte le regioni italiane ove, in molti casi, si sono sviluppate coltivazioni con elevate connotazioni locali e caratterizzate da forti tradizioni territoriali. La Sicilia costituisce la più importante area di coltivazione con più del 40% della produzione nazionale seguita da Calabria, Puglia, Campania e Sardegna. Circa il 30% proviene dalle coltivazioni in serre, sia tradizionali che molto avanzate e con una innovazione tecnologica molto spinta che, attraverso uno stretto controllo dei parametri climatici consente di ottenere produzioni in ogni periodo dell’anno. La patata ha subito, negli ultimi anni una notevole contrazione con una produzione che si attesta sui 35.000 ha e trova diffusione in tutta la penisola. La patata comune è coltivata soprattutto in Emilia-Romagna, Campania, Abruzzo quella “primaticcia, invece, è coltivata soprattutto in Sicilia (circa 47% del totale nazionale) seguita dalla Puglia (28%) e dalla Campania (13%). La gestione fitosanitaria di queste colture si presenta complessa per il gran numero di fitopatie di diverso genere che le possono interessare. Ovviamente l’adozione di corrette pratiche agronomiche quali, nel caso del pomodoro, l’utilizzo piantine sane acquistate in vivai che rispettano rigorose norme igieniche e fitosanitarie, l’eliminazione della vegetazione infetta, o acquisto di tuberi-seme sani e cartellinati, l’adozione di ampie rotazioni colturali, l’esecuzione di corrette pratiche irrigue e di concimazioni, costituiscono una importante integrazione alle strategie chimiche necessarie, però, per il buon esito delle coltivazioni. L’ampia gamma di formulati registrati nei confronti di queste importanti colture consente l’adozione di strategie di difesa che assicurano un elevato controllo delle fitopatie. In questa nota vengono riportate le malattie a maggiore rilevanza indicandone il controllo dando, per quanto possibile indicazioni relative al numero di interventi delle singole sostanza attive al fine di una alla corretta gestione delle resistenze.
MALATTIE FUNGINE
Peronospora (Phytophthora infestans)
Si tratta di una patologia molto temuta per le sue capacità distruttive essendo in grado di attaccare tutti gli organi aerei della pianta: foglie, fusto e bacche e, nel caso della patata, anche i tuberi. Sulle prime si manifesta con macchie traslucide di forma irregolare che, con il progredire dell’infezione tendono ad assumere un colore marrone scuro; solo in condizioni di elevata umidità sulla pagina inferiore delle foglie si possono osservare le strutture propagative del fungo costituite dai rami sporangiofori che differenziano gli sporangi al cui interno vengono prodotte le zoospore che sono responsabili della diffusione della malattia. Sul fusto si osservano, invece, tipiche lesioni necrotiche allungate che tendono ad interessare l’intera circonferenza determinando la distruzione della parte superiore della pianta mentre sui frutti si evidenziano ampie macchie scure, dure al tatto, di aspetto rugoso. Lo sviluppo della malattia è fortemente dipendente dalle condizioni ambientali e, in genere si registra uno scoppio epidemico della malattia solo al realizzarsi di prolungate bagnature fogliari. Sopravvive da una stagione all’altra sui residui colturali e le infezioni si verificano solo con un andamento climatico piovoso e umido e con intervalli termici compresi tra i 10°C e i 23°C. La osservata maggiore aggressività della malattia osservata negli ultimi anni potrebbe essere ascrivibile alla ricombinazione genetica tra due fenotipi sessualmente compatibili A1 e A2, quest’ultimo presente in Italia già dal 1996, nonché alla presenza di popolazioni a ridotta sensibilità al alcuni fungicidi utilizzati per contrastare l’avversità. La difesa è essenzialmente di tipo chimica ed a carattere preveniva e deve essere effettuata molto attenta nelle fasi fenologiche a maggior rischio (soprattutto dopo lo sviluppo del secondo palco fiorale), e in presenza di condizioni climatiche predisponenti, tenendo conto che temperature superiori ai 30°C bloccano l’evoluzione della malattia.
Alternaria (Alternaria solani)
Si tratta di una patologia sempre più diffusa e, anch’essa, molto pericolosa poiché è in grado di distruggere le piante infette nel volgere di poco tempo. L’accresciuto interesse nei confronti di questa malattia è determinato, probabilmente, dall’aumento delle temperature medie durante il periodo della vegetazione. Infatti le infezioni si verificano in presenza di umidità e temperature piuttosto elevate, comprese tra 25 e 35°C con un optimum compreso tra 24°C e 29 °C. Sopravvive da un anno all’altro sui residui colturali infetti ma è nota anche la trasmissibilità attraverso il seme che può costituire, quindi, una pericolosa fonte di inoculo. E’ in grado di attaccare tutte le parti della pianta ma la manifestazione più evidente si ha sulle foglie ove forma tipiche macchie nerastre necrotiche di forma irregolare sulle quali sono facilmente individuabili cerchi concentrici che, con il progredire della malattia si espandono interessando l’intera lamina fogliare. Sui frutti si possono verificare lesioni necrotiche di aspetto coriaceo, soprattutto all’inserzione del peduncolo come conseguenza dell’attacco fiorale. Generalmente la difesa viene associata a quella antiperonosporica poichè molti fungicidi impiegati hanno azione anche nei confronti di entrambi i patogeni.
Oidio (Leveillula taurica, Oidium lycopersici)
Interessa soprattutto le coltivazioni di pomodoro mentre sulla patata la patologia è molto più rara ed è una malattia molto nota e facilmente riconoscibile per il tipico feltro biancastro che può ricoprire le foglie colpite. La prima specie è la più diffusa ed è caratterizzata dallo sviluppo endofitico. Infatti dopo essere penetrato attraverso gli stomi si sviluppa all’interno della foglia dalla quale fuoriesce sulla pagina inferiore producendo l’efflorescenza biancastra costituita dai conidi. Le infezioni sono favorite da elevati livelli di umidità e temperature comprese tra i 18°C e i 24°C e, in fase iniziale, sulle foglie si evidenziano piccole aree decolorate di colore verde chiaro determinate dalla forma agamica del fungo, Oidiopsis sicula. La seconda specie, di cui non è stata individuata la forma sessuata, si differenzia dalla precedente per l’andamento ectofitico (esterno) e per la necessità di temperature leggermente più fresche. Anche in questo caso le foglie viene ricoperta completamente dal feltro miceliare biancastro. Gli interventi vengono effettuati, generalmente, alla comparsa dei primi sintomi e vengono ripetuti in funzione delle condizioni climatiche favorevoli al suo sviluppo ed alle caratteristiche dei principi attivi utilizzati.
Muffa grigia (Botrytis cinerea)
Anche questo patogeno interessa soprattutto le coltivazioni di pomodoro, in particolare quelle protette, è caratterizzato da una elevata polifagia ed è in grado di persistere per lungo tempo nel terreno grazie alla possibilità di produrre sclerosi (strutture di conservazione) che, in condizioni di elevata umidità possono germinare producendo micelio e conidi che danno avvio ai processi infettivi. Il suo insediamento nella pianta avviene prevalentemente attraverso ferite di diversa origine (meccaniche o causate da insetti) ma anche per azione attiva attraverso la formazione di appressori ossia strutture di aderenza attraverso le quali il fungo è in grado di perforare la cuticola della parte attaccata. Generalmente le infezioni prendono avvio dai fiori, subito dopo l’allegagione e attraverso la cavità calicina possono penetrare nei frutti. Su di essi le infezioni possono essere molto gravi e si possono manifestare in evidenti marcescenze ma anche attraverso le cosiddette “macchie fantasma” ossia anulature concentriche di colore verde chiaro determinati dalla penetrazione dei conidi nei giovani frutti e successivo arresto della formazione del micelio. Questa situazione, pur non causandone la marcescenza ne determina l’incommerciabilità. Gli attacchi al fusto sono molto gravi poiché riducono la funzionalità della pianta distruggendo la vegetazione sovrastante le infezioni. Il controllo della malattia si basa soprattutto sull’adozione di corrette misure agronomiche (densità di impianto non elevate, limitati apporti idrici, arieggiamento delle serre, basse densità di impianto ecc.) e interventi chimici specifici effettuati, soprattutto, dopo alcune operazioni colturali finalizzati alla disinfezione delle eventuali lesioni.
Cladosporiosi (Cladosporium fulvum)
E’ una grave patologia esclusivamente per le coltivazioni in serra di pomodoro. I sintomi sono a carico delle foglie più vecchie sulla cui pagina superiore si evidenziano macchie clorotiche in corrispondenza delle quali, sulla pagina inferiore si osserva una abbondante efflorescenza di colore bruno-olivastra con aspetto molto compatto. Più raramente possono essere interessati anche i fiori, i fusti e le bacche. I conidi e il micelio si conservano a lungo nei residui colturali infetti tra le strutture fisiche delle serre e le infezioni sono favorite da elevata umidità e temperature comprese tra i 22 e 24°C. E’ nota anche la trasmissibilità attraverso il seme.
PATOGENI TELLURICI
I funghi che possono essere trasmessi dal terreno e che causano, in genere, seri danni, sono divisi, essenzialmente, in due gruppi, il primo che riguarda l’apparato vascolare ed il secondo agenti di marciumi che possono interessare sia le radici che zona del colletto delle piante. Nel primo si comprendono le patologie causate dalle fusariosi, in particolare Fusarium oxisporum f.sp. lycopersici e dalle tracheoverticilliosi , Verticillium dahliae e V. albo-atrum. Sia per le fusariosi che per le tracheoverticilliosi la sintomatologia evidenzia ingiallimenti e avvizzimenti delle foglie, ripiegamento della parte apicale della pianta verso il basso, imbrunimenti più o meno estesi dei fasci vascolari che si evidenziano facilmente sezionando il fusto delle piante affette e appassimento della pianta specialmente nelle ore più calde del gorno. Penetrano entrambi attraverso ferite presenti nelle radici e si localizzano all’interno dei vasi xilematici e da essi traslocano nella pianta attraverso il flusso linfatico. Si differenziano, però, per la diversa gamma di piante ospiti, più di 300 specie per Verticillium ed esclusivamente pomodoro per F. oxisporumf.sp. lycopersici che trattandosi di una forma speciale, è in grado di attaccare solo il pomodoro e per il fatto che le esigenze termiche ottimali sono molto diverse, circa 28°C per le fusariosi, 23-25°C per le tracheoverticilliosi. In entrambi i casi, però, il controllo chimico è molto difficile ed è affidato soprattutto al miglioramento genetico con la ricerca di cultivar resistenti /o tolleranti e all’utilizzo della pratica dell’innesto erbaceo che, come detto in apertura è una pratica che si va sempre più diffondendo. La difesa chimica può essere attuata con tecniche preventive che prevedono la solarizzazione, la disinfezione dei substrati con vapore o l’utilizzo di formulati ad azione fumigante quali dazomet, metam-sodio o metam-potassio. Si tratta di prodotti che, nel terreno producono metilisotiocianato che ha azione tossica nei confronti degli organismi fungini ed hanno la prerogativa di dover essere applicati preventivamente 3-4 settimane prima del trapianto. Ovviamente essendo prodotti che agiscono in fase gassosa è molto importante che la temperatura del terreno sia almeno di 16°C. Tra gli agenti di marciumi si segnalano la radice suberosa, Pyrenocheta lycopersici e Fusarium oxisporum f.sp radicis lycopersici. Il primo determina lesioni necrotiche e fessurazioni longitudinali nelle giovani radici che favoriscono l’ingresso di altre entità microbiche che, secondariamente, possono causare il completo disfacimento delle stesse. Le piante affette vanno, facilmente, incontro a stress idrici e nutrizionali e mostrano diffusi ingiallimenti delle foglie basali. Il fungo si perpetua attraverso picnidi e microsclerozi che ne permettono la sopravvivenza nel terreno per diversi anni. Si tratta di un patogeno che nel corso degli anni ha visto un notevole incremento di presenza e ciò è stato messo in relazione al progressivo impoverimento di sostanza organica nel suolo che assicurava la presenza di una iportante micloflora antagonista. Fusarium oxisporum f.sp radicis lycopersici provoca marciumi radicali e dei tessuti parenchimatici a livello del colletto con un interessamento dei tessuti vascolari che, però, si estendono sul fusto non oltre i primi 20-25 cm. Anche in questo caso le piante tendono ad avvizzire soprattutto in presenza di elevate temperature. Si tratta di un fungo che è in grado di colonizzare anche substrati inerti e, pertanto, può costituire un potenziale pericolo anche per le colture fuori suolo. Nei confronti di questa avversità possono essere utilizzati funghi antagonisti quali Trichoderma viride e Tricoderma harzianum che, colonizzando il terreno e le superfici radicali, sottraggono spazio e nutrizione ai miceti fitopatogeni.
MALATTIE BATTERICHE
Diverse sono le entità batteriche fitopatogene che possono interessare il pomodoro da mensa, specie in coltura protetta. Pseudomonas syringae pv. tomato, nota come macchiettatura batterica, determina piccole aree idropiche circondate da un alone clorotico sulle foglie che possono confluire interessando ampie porzioni del lembo fogliare. Sulle bacche forma piccole macchie nerastre lievemente rilevate confinate sulla superficie dei frutti determinandone il deprezzamento commerciale. E’ particolarmente dannoso in presenza di elevata umidità e temperature comprese tra i 13 e 25°C. e la sua principale fonte di disseminazione è costituito dai semi infetti. Ovviamente anche i residui di vegetazione infetti possono costituire una pericolosa fonte di inoculo. La maculatura batterica causata da Xanthomonas campestris pv. vesicatoria si manifesta, sulle foglie, con maculature irregolari idropiche che tendono a confluire e a formare estese aree necrotiche, sui frutti i primi sintomi si possono presentare dall’allegagione ad inizio invaiatura e consistono in macchie depresse che tendono a lacerarsi, favorendo l’insediamento di microrganismi secondari agenti di marciumi, rendendo il prodotto non commerciabile. Può penetrare attraverso stomi e ferite ma, anche in questo caso la sorgente di infezione più importante è rappresentato dalla semente infetta. Predilige condizioni di elevata umidità e temperature comprese tra i 22 e 25 °C. La necrosi del midollo causata da Pseudomonas corrugata si manifesta, in genere, nelle serre non climatizzate con appassimento delle piante nelle ore più calde e clorosi delle foglie più giovani. Le infezioni più gravi si hanno quando le piante sono prossime alla maturazione e in caso di forti attacchi può portare a morte le piante in 10-15 gg. E’ facilmente riconoscibile poiché sulla parte esterna del fusto si osservano striature bruno-nerastre in corrispondenza delle quali, all’interno dello stesso, si evidenziano aree necrotiche e cavitazioni del midollo che interessano il tessuto vascolare. Altra tipica manifestazione associata a questa patologia è costituita dalla formazione di abbondanti radici avventizie. Le infezioni sono favorite da sbalzi termici tra il giorno e la notte e da elevate concimazioni azotate e l’insediamento avviene essenzialmente per via meccanica. Due ulteriori batteriosi da quarantena, ossia di cui è vietata la diffusione nell’Unione Europea sono il cancro batterico, Clavibacter michiganensis e l’avvizzimento batterico causato da Ralstonia solanacearum. Il primo colonizza il sistema vascolare diffondendo nell’intera pianta sino a raggiungere il frutto e insediarsi nel seme che rappresenta, pertanto, il maggior veicolo di infezione. I sintomi consistono in perdita di turgore delle foglie e generale appassimento della pianta. Sul fusto si possono notare fessurazioni longitudinali (cancri) che partono generalmente dall’inserzione del picciolo della foglia che, se sezionato può mostrare il caratteristico imbrunimento detto “ferro di cavallo”. Anche sul frutto la sintomatologia è molto tipica e consiste in pustole superficiali brunastre circondate da un alone chiaro dette “occhio di uccello”. L’avvizzimento batterico può essere considerata la più temibile batteriosi che può colpire la coltura e, anche in questo caso le piante affette mostrano rachitismo e avvizzimento, soprattutto nelle ore più calde del giorno. Sezionando trasversalmente il fusto si possono notare imbrunimenti vascolari da cui può fuoriuscire un tipico essudato biancastro. La sua penetrazione avviene attraverso ferite radicali e si conserva facilmente nel terreno anche perché è molto polifago potendo attaccare oltre 200 specie vegetali. Per la difesa dalle batteriosi risulta moto importante l’adozione di misure agronomiche quali ampie rotazioni, utilizzo di piantine certificate e di acque che provengano canali o da bacini di raccolta che vengono periodicamente ripuliti da residui organici.
MALATTIE VIRALI
Il pomodoro può essere interessato da numerose entità virali e, nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo incremento della dannosità di alcuni di essi soprattutto nelle coltivazioni protette. Quasi tutti si trasmettono a mezzo di insetti vettori, afidi, tripidi e aleurodidi mentre la trasmissione per contatto è limitato solo ad alcune specie. Per tutti il controllo è basato soprattutto su misure di carattere preventivo e consistono nell’utilizzo di varietà tolleranti e/o resistenti, adozione di ampie rotazioni colturali, realizzazione di impianti lontani dagli incolti, l’utilizzo di piantine sane ed eventualmente certificate e il controllo selettivo della flora spontanea da cui molti insetti vettori potrebbero acquisire i virus. Purtroppo la lotta insetticida rivolta ai vettori, che spesso viene consigliata, risulta poco efficace in relazione alle modalità di trasmissione dei virus. Tra i più importanti e dannosi si segnalano il TSWV Tomato spotted wilt virus, noto come avvizzimento maculato o bronzatura del pomodoro. Si tratta di un virus polifago, ubiquitario e con moltissime piante ospiti. E’ trasmesso solo dalle neanidi di prima e seconda età del tripide Frankliniella occidentalis e si manifesta con lesioni necrotiche e bronzature degli apici vegetativi e arresto della crescita fino a morte della pianta. Sulle bacche l’infezione si evidenzia con tipiche macchie infossate, decolorate e, a volte concentriche con vistose deformazioni che rendono le stesse non commerciabili. Su pomodoro non si trasmette né per via meccanica né per seme. E’ nota, invece, la trasmissibilità per seme in piante spontanee dalle quali i vettori possono acquisirlo. Il virus del mosaico del cetriolo CMV Cucumber mosaic virus è, forse il virus più noto e conosciuto in Italia dalla metà degli anni ‘80 . E’ trasmesso da diverse specie di afidi con la modalità della non persistenza attraverso le sole punture di “assaggio” e si può manifestare n diverse forme, laciniature fogliari, necrosi interna delle bacche e con “necrosi totale” ossia completa e repentina distruzione della pianta. Su pomodoro non si trasmette attraverso il seme ma in alcune specie spontanee la percentuale di trasmissibilità attraverso il seme è molto elevata. Il virus dell’accartocciamento fogliare giallo TYLCV Tomato yellow leaf curl virus è trasmesso, invece, dall’aleurodide Bemisia tabaci. E’ facilmente riconoscibile dalle ridotte dimensioni delle foglie che presentano, tra l’altro, i margini rivolti verso l’alto e interessati da una vistosa colorazione gialla. Oltre al pomodoro attacca poche altre specie tra cui Datura stramonium e Solanum nigrum sul quale si trasmesse anche attraverso il seme. Le infezioni precoci causano mancata fruttificazione e i danni, in coltura protetta può raggiungere anche il 70-80%. Oltre a quella indicata, in Italia esiste un ceppo rinvenuto in Sardegna e denominato Tomato yellow leaf curl sardinia virus. Tra i virus emergenti si segnalano i virus del giallume del pomodoro ToCV Tomato chlorosis virus e TICV Tomato chlorosis infectious virus e il virus del mosaico del pepino PeMV Pepino mosaic virus. Il TICV è trasmesso da Trialeurode vaporariorum mentre il ToCV da B. tabaci. Per entrambi non è nota la trasmissibilità per seme o per via meccanica. Determinano sintomi che possono essere assimilati a carenze nutrizionali presentando irregolari ingiallimenti della lamina fogliare, le foglie basali e mediane tendono anche ad arrotolarsi e i tessuti appaiono coriacei e fragili al tatto. Il virus del mosaico del pepino è comparso per la prima volta in Italia nel 2001 e la sua peculiarità è che si può trasmettere per semplice contatto attraverso gli attrezzi di lavoro e le operazioni colturali. Sulle foglie si manifesta con mosaicature dal colore giallo intenso mentre sul frutto si evidenziano solo piccole rotture di colore e incompleta maturazione che, però, determinano il completo scadimento qualitativo della produzione. Altri virus che possono interessare la coltura sono AMV Alfaalfa mosaic virus, virus del mosaico dell’erba medica, ToMV Tomato mosaic virus, virus del mosaico del pomodoro, TMV Tabacco mosaic virus, virus del mosaico del tabacco e PVY Potato virus Y virus Y della patata.
PARASSITI ANIMALI
Tripidi (Frankliniella occedentalis, Thrips spp.)
Si tratta di piccoli tisanotteri in grado di attaccare molte specie ortive ed i cui cicli di sviluppo sono fortemente condizionati dalle temperature potendo variare da soli 10 giorni a circa 25-28°C a oltre 30 giorni a 15°C.; in ambiente protetto, si possono avere sino 15-16 generazioni. Svernano nel terreno e gli adulti, in primavera, con le punture di nutrizione causano danni diretti con la comparsa di punteggiature necrotiche e rugginosità a carico delle foglie che determinano riduzione della superficie fotosintetizzante e sottrazione di linfa. Spesso si rinvengono all’interno dei fiori dove si nutrono di polline, causando anche malformazione dei frutti. In verità su questa coltura raramente i danni diretti destano preoccupazione. Diventano, invece, fitofagi primari in quanto vettori del temibile virus della bronzatura, TSWV Tomato spotted wilt virus, trasmessi con elevata efficienza dalle neanidi di F.occidentalis . Purtroppo si ritiene che il solo controllo del tripide vettore sia sufficiente a contenere le infezioni virali e non si tiene conto della presenza e della necessità di controllare, parallelamente, anche la sorgente di infezione, costituita dalla flora spontanea infetta presente nelle aree adiacenti i campi o le serre coltivate su cui il virus si può perpetuare attraverso il seme e da cui i tripidi possono contrarre il virus. E’ necessario pertanto, che gli areali di coltivazione siano quanto più possibile puliti dalle erbe infestanti. La difesa chimica deve essere, comunque, molto tempestiva ed effettuata nelle prime fasi dell’infestazione. In ambiente protetto si può rilevarne la presenza con l’ausilio di trappole cromotropiche azzurre, posizionandone 1 ogni 50 mq di coltura ed è possibile effettuare con successo la difesa biologica impiegando l’antocoride Orius laevigatus in 3-4 applicazioni in ragione di 1-2 predatori/mq. In presenza di elevate popolazioni può essere utile l’utilizzo di Beauveria bassiana o agrofarmaci di sintesi ed introdurre il predatore nelle serre dopo 3-4 settimane.Purtroppo nei mesi invernali questo tipo di difesa non è possibile in quanto l’antocoride subisce un arresto.
Aleurodidi (Trialeurodes vaporariorum, Bemisia tabaci)
Si tratta di piccoli insetti noti anche come “mosche bianche” in grado di attaccare molte piante orticole ed ornamentali soprattutto in ambiente protetto. Vivono principalmente sulla pagina inferiore delle foglie e per la loro elevata attività trofica producono una grande quantità di melata che imbratta tutte le parti vegetative che, in seguito sono interessate da abbondante fumaggine con notevole deprezzamento commerciale del prodotto. Oltre a questo causano un danno diretto dovuto alla sottrazione della linfa che si manifesta con ingiallimenti fogliari, deperimenti e disseccamenti vegetativi. Compiono da 9 a 15 generazioni in relazione alle temperature e un ciclo di sviluppo si completa in circa 30 giorni. Morfologicamente i due insetti si distinguono per la posizione assunta delle ali, in T. vaporariorum sono disposte in senso orizzontale mentre in B. tabaci appaiono ripiegate a forma di tetto. Quest’ultima specie, peraltro, causa maggiori preoccupazioni in quanto è in grado di trasmettere il pericoloso virus TYLC, virus dell’accartocciamento fogliare giallo. La difesa può essere condotta sia con mezzi chimici che biologici e, per poter posizionare tempestivamente gli interventi è utile istallare trappole cromotropiche gialle tenendo, comunque, presente che eventuali trattamenti effettuati nei confronti degli afidi sono, generalmente, efficaci anche nei loro confronti. In coltura protetta l’afelinide Encarsia formosa può validamente essere introdotto nei confronti di T. vaporariorum in 4-6 soluzioni a cadenza settimanale per un totale di 12-20 pupari/mq, tenendo conto che a temperature inferiori a 18°C gli adulti volano con difficoltà e al di sopra dei 30°C, vivono solo qualche giorno. Per il controllo di B. tabaci può essere utilizzato Eretmocerus mundus, specifico contro questa specie in ragione di 1-2 pupari/mq per almeno 4-6 settimane. Risultati interessanti sono stati ottenuti anche con l’utilizzo di Beauveria bassiana.
Nottue fogliari Helicoverpa armigera, Spodoptera littoralis, Chrysodeixis chalcites)
Si tratta lepidotteri, ad abitudini crepuscolari e notturne, che in alcuni anni possono causare ingenti danni come è accaduto nel 2013 i cui in tutto il centro-sud Italia il pomodoro da mensa, a partire dalla prima metà di luglio ha subito violenti attacchi. Macroscopicamente si distinguono per il diverso colore degli adulti e, soprattutto che delle larve. H. armigera detta anche nottua gialla, è una specie ampiamente diffusa e le larve assumono una diversa colorazione in base alle parti di pianta di cui si è nutrita ma su tutte si evidenziano bande giallo brunastre nella parte laterale del corpo. Sverna come crisalide nel terreno e gli adulti compaiono in aprile- maggio ma la loro massima presenza si ha in piena estate. Generalmente compiono 3 generazioni l’anno. Le femmine ovidepongono su tutti gli organi epigei della pianta e la schiusa delle uova si può avere, in estate, anche solo dopo 3-4 giorni. Le larve compiono ingenti danni potendo attaccare le foglie sulle quali determinano vistose erosioni, i fiori e, soprattutto i frutti nei quali penetrano attraverso il peduncolo o la zona calicina compiendo ampie e profonde erosioni per poi fuoriuscire quando hanno raggiunto il 4°-5° stadio di età. Le bacche colpite cadono prematuramente e vanno incontro a marcescenza. S. littoralis o nottua mediterranea compie almeno 4 generazioni l’anno (nelle serre anche 7-8), anch’essa sverna come crisalide nel terreno e gli adulti compaiono ad inizio primavera, aprile-maggio, sebbene la massima densità di popolazione si raggiunge a fine estate, tra settembre e ottobre. Le larve durante i primi stadi di sviluppo compiono vistose erosioni sulla pagina inferiore delle foglie ma i danni maggiori vengono effettuati sulle bacche sulle quali compiono ampie perforazioni che a differenza di quelle prodotte dalla nottua gialla hanno le superfici interne asciutte. C. chalcites è presente soprattutto in Italia meridionale. Sverna come larva o crisalide e compie almeno 3 generazioni l’anno. Attacca foglie e frutti sui quali produce erosioni superficiali e escavazioni più o meno profonde e crateriformi facilmente distinguibili dai danni prodotti dalle altre nottue che hanno attività prevalentemente endofitica. Per il monitoraggio di tutti i nottuidi sono disponibili le trappole a feromone che consentono di posizionare gli interventi chimici all’inizio delle infestazioni.
Tignola del pomodoro (Tuta absoluta)
Microlepidottero di origine sudamericana introdotto in Italia dal 2008 e si è subito imposto all’attenzione degli agricoltori per i gravi danni che ha provocato su molte solanacee, in particolare pomodoro. I danni su questa coltura sono dovuti sia all’elevato numero di mine prodotte dalle larve sulle foglie sia dalle perforazioni e gallerie prodotte sulle bacche che le rendono non commerciabili. A questi vanno ad aggiungersi il possibile sviluppo di muffe e marciumi secondari che si possono verificare sugli organi attaccati. Le femmine sono in grado di ovideporre, fino ad un massimo di 200-250 uova, disordinatamente o in gruppo, su tutte le parti verdi della pianta. In condizioni ottimali un ciclo di sviluppo si compie in 30 giorni e, nelle regioni più calde compie non meno di 7-8 generazioni l’anno non presentando diapausa invernale e a maturità la larva incrisalida sulla pianta stessa entro un tipico bozzoletto sericeo. La difesa deve essere molto scrupolosa e precisa e, nelle serre, sarebbe buona norma adottare reti a maglia sottile che impediscano l’ingresso degli adulti. E’ possibile effettuare il monitoraggio con trappole sessuali innescate a feromone così come, nelle serre, è possibile apporre trappole elettrofluorescenti per consentire la cattura massale degli adulti. Dal punto di vista biologico si segnala l’azione positiva esercitata da alcuni nemici naturali quali alcuni eterotteri predatori Macrolophus caliginosus e Nesidiocoris tenuis. Gli interventi chimici devono essere effettuati alla presenza delle prime mine tenendo presente che al fine di evitare l’insorgenza di popolazioni resistenti è buona norma alternare i diversi p.a. disponibili.
Afidi (Myzus persicae, Macrosiphum euphorbiae)
Si tratta di fitomizi molto noti caratterizzati da cicli biologici assai complessi le cui infestazioni interessano principalmente le foglie giovani e gli apici vegetativi. Il danno è causato dall’apparato boccale pungente succhiante che sottrae una elevata quantità di linfa causando deformazioni, colature di fiori e un generale deperimento vegetativo fino al disseccamento delle parti colpite. Oltre a questi si possono lamentare danni indiretti dovuti alla trasmissione di pericolosi virus come il CMV, virus del mosaico del cetriolo e PVY virus Y della patata. Su pomodoro si segnalano due specie, il M. persicae, noto anche come afide verde del pesco svolge un ciclo dioico che si completa tra il pesco e ospiti secondari tra i quali anche il pomodoro e M. euphorbiae di dimensioni più grande della precedente, anch’esso dioico svolgendo un olociclo tra ospiti primari quali Solanum, Euphorbia Rosa ecc. e diverse solanacee. Per entrambi la difesa chimica deve essere molto tempestiva ed effettuata alla comparsa delle prime colonie. In ambiente protetto si può validamente effettuare la difesa utilizzando lanci di crisopa, Chrysoperla carnea distribuendo 20-30 larve mq. in uno o due lanci o, con temperature inferiori a 15°C, distribuendo Aphidoletes aphidimiza, in ragione di 2-3 pupe mq. in due lanci effettuati a distanza di 2-4 settimane l’uno dall’altro. Può essere utilizzato anche il bioinsetticida Beauveria bassiana, che esplica azione di contatto poiché i conidi che aderiscono alla parete degli insetti germinando penetrano diffondendo il micelio all’interno dell’ospite.
Acari (Tetranychus urticae,T. evansi) e eriofidi (Aculops lycopersici)
Le caratteristiche delle foglie di pomodoro, presenza di tricomi su foglie e fusti, rende questa specie poco ospitale alle infestazioni di ragnetti, tuttavia le specie indicate possono essere rinvenute e causare sensibili danni. E’ facilmente possibile, ad una attenta osservazione, individuarne la presenza sebbene la distinzione delle diverse specie è molto più difficile. Tutti sono caratterizzati da un apparato boccale pungente succhiante e si nutrono di contenuti cellulari. Il sintomo più evidente della presenza è molto noto agli agricoltori e consiste in piccole aree clorotiche sulle foglie che aumentano con l’incremento della popolazione sino a confluire e a far assumere alla pianta un tipico aspetto bronzato. Le due specie di acari, che svernano come femmine fecondate, possono iniziare a comparire ad inizio primavera ma, poiché la loro velocità di sviluppo è molto condizionata dalla temperatura, i danni maggiori vengono prodotti in piena estate. T. evansi introdotto nel nostro paese nel 2005 e inserito nelle liste di all’allerta EPPO, sembra avere una capacità riproduttiva superiore a T. urticae e, quindi in grado di causare maggiori danni ma, al momento, non si dispongono di dati circa la sua diffusione nei diversi areali di coltivazione del pomodoro. Sembra, tuttavia, che abbia esigenze termiche superiori a quelle del ragnetto rosso comune. L’eriofide rugginoso, invece, determina alterazioni a partire dalle foglie basali che diventano fragili, si accartocciano e mostrano il lembo tipicamente ripiegato verso il basso. Sui frutti si possono verificare seri danni poiché ne determina la suberificazione e la screpolatura della superficie. La difesa nei confronti di questi fitomizi può essere validamente condotta sia in modo chimico che biologico. Quest’ultimo va effettuato con l’acaro fitoseide Phytoseiulus persimilis attraverso 2-3 lanci di 8-12 predatori/mq. nelle regioni del Nord e oltre 15/mq. nel Sud. E’ importante, ai fini del successo della difesa, effettuare i lanci tempestivamente per dar modo al predatore di riprodursi adeguatamente e possa prendere il sopravvento sul fitofago.
Nematodi (Meloidogyne spp.)
Costituiscono un grave problema soprattutto nelle coltivazioni in serra. Pur potendo essere attaccati da diversi nematodi, Rotylenchus spp., Pratylenchus spp., Globodera spp.ecc., i nematodi galligeni appartenenti al genere Meloidogyne (M. Incognita, M.hapla, M.arenaria, M. Javanica) sono quelli che causano maggiori danni. Inducono sull’apparato radicale caratteristici e vistosi ingrossamenti o noduli detti “galle” che sono il risultato della reazione della pianta al loro insediamento. I danni sono essenzialmente dovuti ad una compromissione della funzionalità della radice soprattutto in riferimento alle ridotte capacità di assorbimento degli elementi nutritivi. In presenza di forti attacchi i danni sono costituiti da accrescimenti stentati e senescenza prematura dell’intera pianta e vistose riduzioni della quantità e qualità delle produzioni. I danni sono più gravi quando le piante sono attaccate già dai primi stadi di sviluppo. Pertanto, di fondamentale importanza ai fini della difesa, risulta la valutazione preventiva della infestazione del terreno, effettuata attraverso una specifica analisi nematologica, e la conoscenza di eventuali pregresse problematiche nematologiche del campo interessato dalla coltivazione. Attualmente vi è la tendenza a mantenere l’attività parassitaria del nematode entro una soglia di danno economicamente accettabile integrando diversi mezzi di lotta, chimici, agronomici (rotazione, eliminazione della vegetazione precedente ecc.), fisici (solarizzazione, vapore ecc.) e genetici (portainnesti resistenti e/o tolleranti ecc). La difesa chimica è giustificata solo in casi di accertata presenza o se nell’anno precedente quello di coltivazione si sono verificati sensibili danni.